sabato 21 gennaio 2017

Geologo russo: «In Spagna ci sono tracce di pneumatici antiche 12 milioni di anni»

Alexander Koltypin, geologo e direttore del Science Research Center di Mosca, si dice convinto che sul nostro pianeta esistono numerosi siti archeologici dove è possibile riscontrare indizi che avvalerebbero l'esistenza di civiltà vissute milioni di anni fa.


Fa un certo effetto ascoltare la dichiarazione del dottor Alexander Koltypin, se non altro per il fatto che si tratta di un geologo e direttore del Natural Science Research Center presso l’Università Internazionale Indipendente di Ecologia e Politologia di Mosca.
Secondo il ricercatore russo, in diverse località del pianeta è possibile osservare solchi di pneumatici lasciati nel terreno da veicoli pesanti che si possono far risalire a circa 12 milioni di anni fa.
Come è possibile? Certamente si tratta di un’affermazione discutibile, dal momento che l’archeologia classica fa risalire l’inizio della civiltà umana a diverse migliaia di anni fa, non milioni.
Eppure, Koltypin si dice convinto che sul nostro pianeta esistono numerosi siti archeologici dove è possibile riscontrare indizi che avvalerebbero l’esistenza di civiltà vissute milioni di anni fa.
Koltypin è un appassionato sostenitore di questa teoria, tanto da aver denominato il suo sito web ‘Earth before the flood: Disappared Continents and Civilizations‘ (La Terra prima del Diluvio: Continenti e Civiltà scomparse).
È proprio dal suo sito che il ricercatore russo afferma che le tracce riscontrate nel sito spagnolo di Castellar de Meca, nella provincia di Valencia, risalirebbero al Miocene medio e tardo (tra i 12 e i 14 milioni di anni fa circa).
Il villaggio di Castellar de Meca è un sito archeologico unico nel suo genere. Le rovine mostrano un insediamento fortificato praticamente scavato nella roccia. Gli archeologi ‘ortodossi’ fanno risalire i primi insediamenti umani all’età del bronzo.
Koltypin si riferisce all’unico accesso alla cittadella fortificata chiamato ‘Camino Hondo‘ sul cui fondo sono impresse le tracce parallele. La spiegazione ufficiale è che si tratta di solchi lasciati dal passaggio di carri trainati da animali.
Ma Koltypin non è soddisfatto da questa spiegazione. «Io non accetto queste spiegazioni», scrive il ricercatore. «I solchi sono troppo profondi per essere stati lasciati da mezzi così leggeri. Dobbiamo pensare a veicoli notevolmente più pesanti».
All’epoca il terreno doveva essere umido e morbido, come argilla malleabile. Muovendosi su di esso, un veicolo di grandi dimensioni sarebbe affondato facilmente nel fango, lasciando la doppia traccia di pneumatico.
Secondo Koltypin, questi ipotetici veicoli presentavano dimensioni simili ai fuoristrada moderni, ma con pneumatici larghi 23 centimetri. Con il passare degli eoni, il fango si sarebbe pietrificato, lasciando impresse le caratteristiche tracce per i milioni di anni a venire
Lo studio condotto dal ricercatore russo sui depositi minerali che rivestono le tracce e la loro erosione, mostrerebbero la loro incredibile antichità.
Sebbene la pietrificazione possa avvenire in poche centinaia di anni, o addirittura pochi mesi, Koltypin sostiene che in questo caso non ci sarebbero dubbi a far risalire le tracce al Miocene.

Altre tracce

Koltypin ha condotto numerosi studi sul campo in varie località, con diverse pubblicazioni su riviste di geologia. Il ricercatore ipotizza che oltre 12 milioni di anni fa esistesse una rete di strade diffusa in tutto il Mediterraneo.
Solchi di ruote pietrificati con caratteristiche simili sono state riscontrate a Malta, in Turchia, Italia, Kazakistan e Francia. A suo avviso, queste strade sarebbero state utilizzate dalle stesse persone che hanno costruito città sotterranee come Derinkuyu, in Cappadocia.
Secondo l’archeologia ufficiale, le tracce pietrificate sarebbero state lasciate da diverse civiltà in diversi periodi di tempo. Koltypin, invece, ritiene che esse vadano attribuite ad un’unica civiltà diffusa su tutto il pianeta esistita in un’epoca estremamente remota.
Il nostro pianeta ha circa 4,5 miliardi di anni e un passato geologicamente turbolento. Koltypin spiega che eventi geologicamente distruttivi come tsunami, eruzioni vulcaniche, movimenti tettonici e impatti meteoritici possano aver spazzato via gran parte dei resti di queste antichissime civiltà.
«Senza significativi ulteriori studi da parte dei grandi gruppi di archeologi, geologi ed antropologi, rimane impossibile rispondere alle domande su queste civiltà dimenticate», conclude Koltypin. «Lo ricorderò sempre a me stesso… molti altri abitanti del nostro pianeta sono stati cancellati dalla nostra storia».



lunedì 9 gennaio 2017

Circolo Polare Antartico: l’enigma della scialuppa abbandonata sull’Isola di Bouvet

A parte il suo isolamento, non sembra esserci nulla di speciale in questo luogo freddo e desolato. Eppure, Bouvet conserva un enigma che ancora non si è riusciti a risolvere.


Se c’è un luogo che può definirsi ‘in mezzo al nulla’, questo è certamente l’isola di Bouvet, un pezzo di terra vulcanico di 50 km² situata nell’oceno Atlantico, a sudovest del Capo di Buona Speranza, disabitata e ricoperta di ghiaccio.
Bouvetøya (in norvegese) non ha porti né approdi, solo ancoraggi al largo, ed è difficile da approcciare. I ghiacciai formano uno spesso strato di ghiaccio che si affaccia con alte pareti sul mare e sulle spiagge nere di sabbia vulcanica.
Bouvet è un protettorato della Norvegia ed è nota per essere l’isola più remota al mondo, infatti la terra più vicina è l’isola Gough (Regno Unito) che si trova a 1.600 km a nord.
Dunque, a parte il suo isolamento, non sembra esserci nulla di speciale in questo luogo freddo e desolato. Eppure, Bouvet conserva un enigma che ancora non si è riusciti a risolvere.
Nell’aprile del 1964 la rompighiaccio Protector della Royal Navy HMS, raggiunse l’isola per condurre studiare una nuova formazione creata da un’eruzione vulcanica avvenuta circa 10 


anni prima.
Nei pressi di Nyrøysa, dove oggi sorge una stazione meteorologica, la spedizione, con a capo il tenente capitano Allan Crawford, si trovò di fronte a qualcosa di molto strano: una scialuppa abbandonata semi affondata in un lago ghiacciato.
I remi della scialuppa erano sulla riva, insieme ad un serbatoio di rame. Né i passeggeri della scialuppa né i loro presunti corpi sono mai stati ritrovati. Inoltre, la scialuppa non aveva nessun segno di identificazione.
Purtroppo, la squadra non ebbe molto tempo per condurre un’indagine più approfondita, ma prima di andarsene scattarono questa foto:
Da dove viene questa barca? Si tratta di una scialuppa utilizzata da qualcuno scampato al naufragio di una nave più grande? E se così fosse, dove sono andati a finire i naufraghi, dato che non sono note operazioni di salvataggio avvenute nella zona?
Certamente è da escludere la possibilità che qualcuno si sia messo a remare fino all’isola di Bouvet partendo dal pezzo di terra emerso più vicino che si trova a 1.600 km di distanza.
L’unica spiegazione plausibile è che una nave più grande si sia trovata in zona per una spedizione e che abbia inviato una squadra sull’isola con un paio di barche più piccole.
Appena arrivati a riva, è possibile che gli uomini si siano accorti che una delle barche era leggermente danneggiata, decidendo di abbandonarla a riva dopo aver esplorato l’isola e tornati sulla nave.
Benché sembri una teoria ragionevole, purtroppo non è supportata da testimonianze storiche, poiché i giornali di bordo delle varie spedizioni avvenute su Bouvetøya non riportano nulla di simile, né nessun governo del pianeta si è fatto avanti per rivendicare la proprietà della scialuppa.
Come ha notato lo storico inglese Mike Dash, il quale ha condotto diverse ricerche sul caso, nonostante le varie teorie, nessuna proposta si avvicina ad una soluzione dell’enigma dell’isola di Bouvet. Dunque, il caso è ancora aperto, candidandosi a diventare uno dei veri misteri irrisolti della storia.




sabato 7 gennaio 2017

L’indecifrabile sito di Naupa Iglesia: un pezzo d’Egitto nel cuore delle Ande

A ridosso di un dirupo sulla Cordigliera delle Ande, qualcuno ha intagliato una porta con precisione maniacale nel fianco della montagna. Poi, ha creato un altare modellando un affioramento di roccia blu con la stessa precisione. In entrambi i casi, lo stesso design compare sia in Persia che in Egitto. Ecco l'indecifrabile sito di Naupa Iglesia.


Fino a pochi anni fa nessuno sapeva della sua esistenza, eppure è uno dei più affascinanti ed enigmatici siti di tutta l’America precolombiana.
Il complesso di Naupa Iglesia (Tempio degli Antichi) si trova a ridosso di un dirupo delle Ande, nel territorio di Choquequilla, Perù.
Oltre a poche immagini piuttosto intriganti, si sa molto poco su questo straordinario complesso. Per chi è interessato, le coordinate del sito sono: 13.2977461S; 72.2551421W.


Le decorazioni dell’altare ricordano quelle viste nella fontana di Ollantaytambo, il sito più famoso della regione, distante da Naupa Iglesia solo pochi chilometri, tanto da pensare che siano state realizzate dalla stessa civiltà.
Ciò che lascia molto più perplessi è ciò che si trova all’interno della montagna: una porta scavata nella roccia, geometricamente perfetta.
Nella cultura Inca, i Ñaupas erano gli abitanti del mondo ultraterreno ed erano capaci di viaggiare nello spazio utilizzando alcuni luoghi sacri, come la porta di Puerta de Hayu Marca.
La porta scavata nella roccia sembra davvero l’accesso per un altro mondo. Secondo la tradizione, bisognava essere in posseso di poteri magici per attraversarla.

FLASH DRAGON  UNFUTURO TUTTO A COLORI CLICCA QUI PER L'ARTICOLO COMPLETO