sabato 28 febbraio 2015

Tentativo di censura sui “Vimana” in India

aviazione
Ram Prasad Gandhiraman
Secondo un controversodocumento che è stato presentato al 102esimo Congresso di Scienze Indiano tenutosi a Mumbai ed organizzato dall’Università di Mumbai ad inizio gennaio 2015, gli antichi abitanti dell’India avevano imparato – migliaia di anni prima dei fratelli Wright – come volare. La tesi è stata proposta dal capitano Anad Bodas e Ameya Jadhav, i quali hanno affermato che l’antica aviazione indiana fosse più avanzata della tecnologia odierna. “La conoscenza dell’aeronautica“, affermano, “è descritta in sanscrito in 100 sezioni, otto capitoli, 500 norme e 3.000 versi. A tutt’oggi, solo 100 norme sono disponibili“.
Bodas ha inoltre affermato che Maharishi Bharadwaj (autore del libro “Tutto sulle Macchine”) parlava che circa 7.000 anni fa “aeroplani viaggiavano da un paese all’altro, da un continente ad un altro e da un pianeta ad un altro, menzionando 97 libri di riferimento per l’aviazione“.
La relazione dei due ricercatori, dal titolo “Ancient Indian Aviation Technology“, ha causato, come prevedibile, una forte polemica tra gli scienziati di tutto il mondo che hanno, perfino, fatto una petizione, voluta dallo scienziato dell’Ames Research Centre NASA in California, Ram Prasad Gandhiraman, che ha raccolto l’adesione di 220 scienziati e accademici con un solo scopo, nel tentativo di far annullare, la relazione perché, secondo l’ideatore della petizione, “mette in discussione l’integrità del processo scientifico.

Risulta davvero ‘terrificante‘ che una così prestigiosa conferenza scientifica fornisca un palco per i discorsi pseudo-scientifici. Noi, come comunità scientifica dovremmo seriamente essere preoccupati per l’infiltrazione della pseudo-scienza nel curricula scientifico con il sostegno di influenti partiti politici. Fornire un palco scientifico per un discorso pseudo-scientifico è peggio di un attacco sistematico realizzato nel recente passato da potenti propagandisti politici pseudo-scientifici. Se noi scienziati rimanessimo passivi, noi tradiremmo non solo la scienza, ma anche i nostri figli“. Però questo tentativo di censura accademica non ha avuto l’esito che speravano. Infatti il professor Gauri Mahulikar, capo del Dipartimento di Sanscrito dell’Università di Mumbai e coordinatore della sessione, ha affermato che questa è la prima volta che il Congresso di Scienze Indiano ha tenuto un simposio sull’antica scienza indiana vista attraverso la letteratura sanscrita, e dove “se avessimo scelto professori di sanscrito per parlare dei riferimenti alla tecnologia aeronautica nella letteratura sanscrita, che include informazioni su come creare gli aerei, il cifrario delle divise e la dieta dei piloti, i sette tipi di carburanti utilizzati, la gente ci avrebbe respinto, ma il capitano Anad Bodas è…lui stesso un pilota, e il suo co-presentatore Ameya Jadhav ha conseguito una laurea al MTEch indiano e un Master in Sanscrito“.

giovedì 26 febbraio 2015

L’ORIGINE IGNOTA DEI “POPOLI DEL MARE”. I VERI DISCENDENTI DI ATLANTIDE?

Secondo le fonti egiziane risalenti alla 19° dinastia, un tempo remoto esisteva una confederazione di “Popoli del Mare” che, navigando verso il Mar Mediterraneo orientale, sul finire dell'età del bronzo invasero l'Anatolia, la Siria, Palestina, Cipro e l'Egitto. In realtà, non si sa molto su di loro, né quale fosse il luogo di provenienza. Le fonti egiziane descrivono queste popolazioni solo dal punto di vista militare: “Sono venuti dal mare sulle loro navi da guerra, e nessuno poteva andare contro di loro”!

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I “Popoli del Mare” sono oggetto di un infinito dibattito tutt’ora in corso tra gli studiosi di storia antica.
Si tratta, infatti, di un gruppo umano di cui si sa molto poco, la cui scarsità di notizie ha favorito il fiorire di numerose di teorie ed ipotesi.
Non si sa chi fossero, nè il loro luogo di origine e nemmeno che fine abbiano fatto. Dunque, la precisa identità di queste “popolazioni del mare” è ancora un enigma per gli studiosi.
Alcuni indizi suggeriscono invece che per gli antichi egizi l’identità e le motivazioni di queste popolazioni erano note. Le poche informazioni che abbiamo, infatti, ci vengono da fonti dell’antico Egitto risalenti alla 19° dinastia.
In realtà, le fonti egizie descrivono tali popoli solo dal punto di vista militare. Sulla stele di Tanis si legge un’iscrizione attribuita a Ramses II, nella quale si legge:
«I ribelli Shardana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resistergli».
Il fatto che varie civiltà tra cui la civiltà Ittita, Micenea e il regno dei Mitanni scomparvero contemporaneamente attorno al 1175 a.C. ha fatto teorizzare agli studiosi, che ciò fu causato dalle incursioni dei Popoli del Mare.
I resoconti di Ramses sulle razzie dei Popoli del Mare nel mediterraneo orientale sono confermati dalla distruzione di Hatti, Ugarit, Ashkelon e Hazor.
È da notare che queste invasioni non erano soltanto della operazioni militari ma erano accompagnate da grandi movimenti di popolazioni per terra e mare, alla continua ricerca di nuove terre in cui insediarsi.

I Popoli del Mare

Il termine “Popoli del Mare” fa riferimento ad un gruppo composto da dieci popolazioni provenienti dall’Europa meridionale, una sorta di confederazione, che sul finire dell’Età del Bronzo, navigando verso il Mar Mediterraneo orientale, invasero l’Anatolia, la Siria, Palestina, Cipro e l’Egitto.
Le fonti antiche più importanti nelle quali vengono citati i Popoli del Mare sono l’Obelisco di Biblo, databile tra il 2000 e il 1700 a.C., le Lettere di Amarna, la Stele di Tanis e le iscrizioni del faraone Merenptah.
Tra le popolazioni citate nelle iscrizioni antiche, le più intriganti sono certamente i Lukka, gli Shardana, i Šekeleš e i Danuna.
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I Lukka

La prima menzione di queste genti compare nell’obelisco di Biblo, dove viene nominato Kwkwn figlio di Rwqq, transliterato Kukunnis figlio di Lukka.
Le terre di Lukka vengono spesso citate anche nei testi ittiti a partire dal II millennio a.C. Denotano una regione situata nella parte sud-occidentale dell’Anatolia. Le terre di Lukka non furono mai poste in modo permanente sotto il controllo ittita, e gli stessi Ittiti le consideravano ostili.
I soldati di Lukka combatterono alleati agli Ittiti nella famosa battaglia di Qadeš (ca. 1274 a.C.) contro il faraone egizio Ramesse II. Tuttavia, un secolo dopo, Lukka si rivolse contro gli Ittiti. Il re ittita Šuppiluliuma II tentò invano di sconfiggere Lukka, i quali contribuirono al collasso dell’impero ittita.

Gli Shardana

Gli Shardana compaiono per la prima volta nelle fonti egiziane nelle lettere di Amarna (1350 a.C. circa) durante il regno di Akhenaton. Vengono poi menzionati durante il regno di Ramses II, Merenptah e Ramses III con i quali ingaggiarono numerose battaglie navali.
Nella raffigurazione vengono dipinti con lunghe spade triangolari, pugnali, lance e uno scudo tondo. Il gonnellino è corto, sono dotati di corazza e di un elmo provvisto di corna.
Le similitudini fra i guerrieri Shardana e quelli dei nuragici della Sardegna, nonché l’assonanza del nome Shardana con quello di Sardi-Sardegna, hanno fatto ipotizzare, ad alcuni, che gli Shardana fossero una popolazione proveniente dalla Sardegna o che si fosse insediata nell’isola in seguito alla tentata invasione dell’Egitto.

I Šekeleš

Šekeleš, detti anche Sakalasa, vengono citati insieme ad altri otto componenti dei Popoli del Mare nelle iscrizioni commissionate dal faraone Merenptah (13° secolo a.C.).
Sono stati associati ai Siculi, popolazione indoeuropeea che si stanziò nella tarda età del bronzo in Sicilia orientale scacciando verso occidente i Sicani.
Non è escluso che la loro emigrazione in Sicilia possa essere stata precedente agli scontri con l’Egitto di Merenptah, se è affidabile l’alta cronologia della cultura Pantalica I (datata a partire dal 1270 a.C.) e la testimonianza di Ellanico di Mitilene, riportata da Dionigi di Alicarnasso, secondo cui lo sbarco dei Siculi in Sicilia sarebbe avvenuto tre generazioni prima della guerra troiana, intorno al 1275 a.C.; Dionigi riporta anche la datazione fissata da Filisto (ventiquattro anni prima della Guerra di Troia) più o meno contemporanea al conflitto tra il faraone Merneptah e i Popoli del mare.

I Danuna

I Danuna, o Denyen, sono certamente i più enigmatici. Secondo la leggenda, i Danuna avrebbero lasciato il continente di Atlantide per stabilirsi sull’isola di Rodi.
Questo popolo adorava la dea Danu, una dea primordiale presente nella mitologia di molte culture (da quella celtica a quella indiana). Veniva rappresentata come una luna avvolta dal serpente e che si suppone era considerata la dea madre delle acque.
La mitologia greca tramanda che gli abitanti primordiali dell’isola di Rodi erano chiamati Telchini. Secondo lo storico greco Diodoro, questo popolo aveva il potere di guarire le malattie, di modificare le condizioni atmosferiche e assumere qualsiasi forma desiderassero. Ma non desideravano rivelare le proprie capacità, mostrandosene assai gelosi.
Erano rappresentati sotto forma di esseri anfibi, metà marini e metà terrestri. Avevano la parte inferiore del corpo a forma di pesce o di serpente, oppure i piedi con dita palmate.
Un po’ prima del Diluvio, ebbero il presentimento della catastrofe e lasciarono Rodi, la loro patria, per disperdersi nel mondo. È possibile che la mitologia e le leggende tramandino la storia di un popolo tecnologicamente avanzato, percepito dagli antichi come in possesso di poteri magici?
È possibile che ci sia un collegamento tra i Danuna e i Talchini? Potrebbero essere davvero i superstiti del continente di Atlantide?

martedì 3 febbraio 2015

GLI ENIGMI DELLA TERZA PIRAMIDE DI GIZA, NOTA COME MICERINO

È decisamente più piccola delle altre due piramidi sorelle della Piana di Giza, fino a un decimo delle dimensioni della Piramide di Cheope. Eppure, la piramide nana fa sorgere questioni pari a quelle delle altre due piramidi.

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Nei documentari e nei reportage è spesso trascurata, forse a causa delle sue dimensioni minori.
Il suo nome ufficiale è “Piramide di Menkaure”, più nota in Italia col nome di Micerino (forma italianizzata del greco Mykerinos, forma in cui il nome compare nelle opere dello storico greco Erodoto).
È la terza piramide del complesso di Giza ed è intrigante almeno quanto le sue sorelle giganti più conosciute.
L’altezza totale della Piramide di Micerino è di 65,5 metri, i lati della base quadrata misurano 103,4 metri e il volume totale è pari a 250 mila m³, ovvero un decimo di quella di Cheope, e presentando la curiosa particolarità di blocchi molto più grandi di quella di Chefren.
In origine la piramide doveva essere tutta ricoperta dello spettacolare granito rosso di Assuan, le cui cave si trovano a circa 900 km di distanza. Il lato nord conserva parte del rivestimento, che però verso l’alto non risulta liscio dando così l’impressione di un lavoro non terminato. Ma perché è così piccola?
Alcuni, frettolosamente, affermano che forse non c’era abbastanza spazio a sinistra della Piana di Giza, o che, forse, il costo di costruzione era troppo alto.
In realtà, come oggi si ritiene, le tre piramidi di Giza riproducono la configurazione delle tre stelle della cintura della Costellazione di Orione. La Piramide di Micerino corrisponderebbe alla posizione della stella Mintaka, apparentemente la più piccola delle tre. Quindi le ragioni sarebbero di tipo analogico.
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Mintaka è la stella più occidentale della Cintura, in quanto Alnilam e Alnitak sono osservabili, rispettivamente, a poco meno di 2° e a poco meno di 4° a sud-est da essa.
Un altro aspetto davvero curioso che Micerino condivide con le altre due piramidi è il fatto che queste strutture, in realtà, sono costituite da otto lati invece di quattro.
Questo fenomeno è visibile solo dall’alto, durante l’alba e il tramonto degli equinozi di primavera e autunno, quando il sole proietta ombre sulle piramidi che rivelano la particolare conformazione a otto lati.
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Perchè i costruttori hanno progettato e realizzato una caratteristica così difficile da vedere? È stata semplicemente una sofisticata scelta estetica, oppure dietro c’è una ragione pratica a noi sconosciuta?
Infine, le pietre di granito che rivestono l’esterno della piramide di Micerino hanno delle curiose sporgenze, caratteristica riscontrata in alcuni siti archeologici dell’America precolombiana, in particolare a Cuzco, Perù, una delle città Inca più conosciute.
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Interno della Piramide

Sebbene non sia mai stato trovato nessuna mummia o cadavere, gli egittologi credono che le piramidi fossero luoghi di sepoltura per i faraoni egizi. Ma è davvero così?
L’interno della piramide è molto complesso. Presenta un ingresso a nord a circa 4 metri d’altezza che conduce in un tunnel rivestito di granito rosa di circa 32 metri e con un’inclinazione di 26° ed un successivo grande corridoio di circa 13 metri di lunghezza, 4 metri di larghezza e 4 metri di altezza.
Questo corridoio sbocca nell’originale in una camera posta 6 metri sotto il livello del suolo che presenta una fossa nel pavimento che doveva accogliere un sarcofago e dalla quale parte un corridoio che conduce nel nulla.
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Sconcertante la massiccia presenza del granito proveniente dalle lontane cave dell’Alto Egitto, pietra molto dura ed estremamente difficoltosa da lavorare.
Una caratteristica notata dagli studiosi è che i segni lasciati sulle pareti dagli attrezzi degli operai egizi indicano con certezza che il primo corridoio inferiore è stato scavato dall’interno verso l’esterno mentre il secondo, quello superiore esattamente dall’esterno verso l’interno.
Dunque, sebbene piccola e poco valorizzata, la Piramide di Micerino solleva una serie di questioni pari a quelle delle sorelle maggiori, spingendoci a esplorare più profondamente la mentalità di chi ha fatto il lavoro, lo scopo dello sforzo e, soprattutto, il periodo di realizzazione.

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